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Impegnato a vincere, il corridore sul campo da corsa guarda solo in avanti: per lui importante è il traguardo, non il punto di partenza.
Diverso il punto di vista del cronista: seduto in tribuna, fa il resoconto dell’evento e poi, alla fine della corsa, ne commenta la performance, ricostruendone l’attesa, lo scatto, la velocità e la durata.
Come un corridore, un capitano d’industria raramente pensa al passato, se non come riferimento per fare meglio nel futuro: la sua storia d’impresa, all’inizio, è sempre simultanea – una continua corsa a ostacoli, inframmezzata da pause tecniche e da sedute d’allenamento.
Ciò che conta è la qualità del nuovo, la sua capacità di infrangere record: perciò si immagina sempre in movimento, quasi che fermarsi a ricordare ciò che è stato sia solo una perdita di tempo o, magari, addirittura un atto di riprovevole vanità.
È l’etica del lavoro che, in quella fabbrica a cielo aperto che è il distretto brianzolo del design, si traduce nella brusca ritrosia di chi pensa di aver solo fatto il proprio dovere, di aver obbedito a null’altro che a una regola – una regola non scritta ma praticata in operoso silenzio da generazioni di padroni e di operai, tutti assieme in quella realtà, quasi più mistica che mitica, che è il capannone industriale.
In questo senso la storia di UniFor, che compie nel 2019 i suoi primi cinquant’anni, è la comune storia di successo di tante aziende del design che hanno costruito la leggenda del Made in Italy; ma con una declinazione particolare, quella vocazione per l’architettura che la rende, allo stesso tempo, assai idiosincratica e particolare.
Nel 2012, un articolo pubblicato da due archeologi rivela i risultati di una serie di esperimenti sonori condotti nella gola La Valltorta a Valencia, in Spagna: sito famoso per la presenza di pitture rupestri dipinte dai nostri antenati migliaia di anni fa.
Herzog & de Meuron per UniFor a Milano
Un programma artistico per allacciare un legame tra il passato e il presente della città di Pompei.
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