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Rifare come, rifare perché, rifare si può

Mar 2011
Francesca Molteni
Rifare come, rifare perché, rifare si può

Dopo un lungo percorso di ricerca, selezione e studio dei prototipi, arriva al Salone 2012 la collezione sviluppata grazie alla collaborazione e all’accordo firmato in esclusiva con gli eredi Ponti, sotto la direzione artistica dello Studio Cerri&Associati. Arredi firmati Gio Ponti, come la sedia realizzata nel 1935 per il Palazzo Montecatini a Milano, uno dei primi esempi di progettazione integrale, dall’architettura dell’edificio ai mobili; e poi librerie e cassettoni, in due formati, un tavolino, una poltrona, alcune cornici e un tappeto disegnati da Ponti per arredare la sua casa in via Dezza a Milano nel 1956-57. Nel lungo processo di ricerca, si è deciso di portare all’attenzione della comunità scientifica e professionale il tema delicato delle riedizioni con una discussione aperta all’Ordine degli Architetti di Milano.

Titolo dell’incontro, che si è svolto il 20 ottobre 2011, “Rifare come, rifare perché, rifare si può. La questione culturale e tecnica delle riedizioni. Dal progetto del pezzo unico al prodotto in serie”. Le riedizioni esistono da sempre. L’arredamento ha sempre avuto una forma di coazione alla copia, ossia si è sempre cercato di realizzare un arredo “alla maniera di”, soprattutto per le opere che hanno una loro intrinseca forza innovativa per la forma, per la tecnica, per il momento storico in cui sono state progettate e che hanno determinato una rottura rispetto al gusto e al linguaggio convenzionali, diventando archetipi storici, “emettitori di segnali”.

Per l’Architetto Franco Raggi, Vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Milano, nel settore del design industriale e della progettazione di arredi esistono due approcci opposti al tema delle riedizioni. L’approccio che non considera pezzi d’arte le opere realizzate in origine per essere prodotte in serie (anche limitata), legittimandone quindi la riedizione finché c’è la volontà di riprodurle e finché il gusto ne giustifica la riproduzione. L’approccio opposto trasforma le opere originali in feticci, attribuendo a un pezzo valore, senso, qualità se è il primo, il prototipo. Questa teoria innesca un cortocircuito logico perché un pezzo pensato per essere riprodotto viene, invece, valutato per la sua unicità.

Il rapporto tra opere originali, copie/contraffazioni, riedizioni, tra autentico, falso e finto è un tema molto delicato, per l’Architetto Alessandro Mendini, particolarmente interessante “perché il gioco delle finzioni è una delle più grandi realtà del mondo contemporaneo”. Per Mendini, i mobili rieditati “sono dei finti non dei falsi, nel senso che implicano un salto di verità, perdono la verità e si trasformano in altro”. Cosa significa, quindi, intervenire su materiali e tecniche? Significa intervenire sul progetto originario? Ne abbiamo diritto? Dobbiamo smettere di produrre questi pezzi? Sono interrogativi che impegnano da anni Carlo Guglielmi, Presidente di Cosmit e di INDICAM (Istituto di Centromarca per la lotta alla contraffazione).

" Molti rispondono in modo drastico, ostacolando la riedizione di pezzi d’autore che hanno tutto il diritto e la legittimità di rimanere sul mercato. Le aziende che hanno prodotto da sempre questi pezzi e hanno la titolarità per produrli, avendo accordi con l’autore o con gli aventi diritto, possono in qualche modo modificare l’opera se l’intervento rispetta l’idea originaria, il senso e la visione di chi ha progettato l’oggetto ", conclude Gugliemi. Salvatore Licitra, erede di Gio Ponti e responsabile dei Gio Ponti Archives, è contrario alla “linea dura” contro le riedizioni:

“È sbagliato opporsi. Nel caso Ponti, come italiani, come milanesi, abbiamo un patrimonio che va messo in luce, un giacimento in parte inesplorato, fatto di moltissimi lavori dimenticati. Riproporre pezzi mai prodotti, perché Ponti progettava molto più di quello che poteva essere prodotto, o rieditare pezzi dimenticati, ci offre l’occasione di capire meglio la sua figura, il suo lavoro e un momento importante dell’architettura italiana.” Ma perché Molteni&C ha scelto Gio Ponti per un’operazione di riedizione? Forse, come sostiene l’Architetto Fulvio Irace, parafrasando l’affermazione di Ponti, “l’arte si è innamorata dell’industria”, perché “l’industria si è innamorata di Gio Ponti”

“Questa riedizione di pezzi di Gio Ponti”, sostiene Raggi, “questo investimento da parte di un’azienda sulla memoria di un grande maestro dell’architettura italiana è anche una riflessione sul fatto che l’innovazione non deve essere una coazione a ripetere continuamente in assenza di ragioni per innovare”. Per Fulvio Irace c’è un altro aspetto che richiama oggi l’attenzione su Ponti, “ossia la sua inesauribile energia e il suo ottimismo nel futuro, fondati sulla coniugazione dei saperi, su una cultura tecnica o politecnica del fare, che si traduceva nell’idea che ogni fantasia per essere buona deve essere anche realizzabile”.

La versatilità del lavoro e della figura pontiana, la capacità di mescolare ambiti molto diversi tra loro, attraverso una sorta di “ecumenismo delle arti”, secondo la definizione di Raggi, ha permesso a Ponti di portare il “discorso della felicità nella casa come una forma di utopia realizzata” e ottenere opere che comunicano un’idea di modernità attraverso il mestiere, la costruzione di oggetti e la loro messa in relazione. “Per Ponti l’artista è l’architetto, l’urbanista, l’artigiano, è colui che costruisce il patrimonio culturale del futuro,” afferma Irace. “È l’idea non di un patrimonio congelato nel passato, bensì di un heritage che ci viene tramandato e che abbiamo il dovere di incrementare come un patrimonio di famiglia. La logica, d’altra parte, è simile a quella degli industriali che di padre in figlio si tramandano l’impresa con l’aspettativa che le nuove generazioni apportino costanti innovazioni senza fermarsi al passato”. —

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