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Edoarda De Ponti, architetto, vive in una casa milanese progettata da Ignazio Gardella, suo nonno. Cinque le generazioni di architetti Gardella, fino allo zio Jacopo; sei con Edoarda, che ha lavorato per anni nello studio di famiglia, mantenendo la sua autonomia di progettista, da donna milanese schiva e pragmatica.
Edoarda, ci racconti la tua storia e il legame con lo studio di famiglia?
Mi sono laureata al Politecnico di Milano, ho seguito le orme di famiglia, iniziando ha lavorare nello studio Gardella, e in seguito a Londra fino al 2000. Quando sono tornata a Milano, ho fatto esperienze nel campo della museografia e poi in studio ad aiutare lo zio Jacopo. Nello studio Gardella mi sono anche sempre occupata di tutti gli aspetti culturali ed editoriali, come la pubblicazione di testi e l’organizzazione di mostre sull’opera di Ignazio, imparando un metodo di progettazione e di lavoro che si tramanda da generazioni, dai primi dell'Ottocento fino al 2021, quando è mancato Jacopo.
Qual è il metodo di progettazione che hai imparato dai Gardella?
Un metodo che rivolge uno sguardo al passato per progettare la modernità, non un rifacimento degli stili, ma un attingere alla storia, alle sue ragioni, per superare in maniera disinvolta e sicura alcune forme e attuare progetti moderni dell’abitare con grande attenzione ai dettagli come parti importanti del tutto. Accostare forme del passato e forme nuove è sempre stato il filo rosso della progettazione di Ignazio e Jacopo. Mobili antichi di famiglia e mobili nuovi moderni più funzionali. Dopo la guerra, alcuni di questi pezzi disegnati da Ignazio Gardella sono stati prodotti da Azucena, una delle prime aziende italiane per la produzione di mobili in serie, fondata con gli amici Corrado Corradi dell’Acqua e Luigi Caccia Dominioni. Un progetto poi abbandonato per dedicarsi più alla progettazione dell’architettura degli edifici che all’industrial design.
Ignazio era laureato anche in Ingegneria, come mai? Quanto conta la tradizione di famiglia nella sua professione?
Ignazio è stato fortunato, rispetto ai suoi colleghi architetti della stessa epoca, perché nacque in una famiglia in cui la professione di architetto si tramandava da generazioni. Ha avuto a disposizione una ricca biblioteca di libri di architettura ed un archivio di disegni magnifici. Suo nonno e suo padre gli insegnarono la storia dell’architettura classica obbligandolo spesso a disegnare dal vero capitelli e ornamenti, tanto da alimentare in lui, già verso la fine del liceo classico, una sorta di “rifiuto” nei confronti dell'Architettura; motivo per cui si iscriverà alla facoltà di Ingegneria. Solo nel dopoguerra si laureerà in Architettura, a Venezia, allo IUAV, la scuola di Giuseppe Samonà, dove diventerà poi professore. A questa eredità famigliare deve anche il suo talento, la sua grande facilità nella progettazione, la rapidità nel capire le proporzioni, nell’arrivare subito alla soluzione. Nella professione Ignazio ha fatto quasi sempre quello che voleva, nel senso che ha affrontato il progetto del moderno con disinvoltura senza dogmatismi, completamente libero da condizionamenti. È infatti tra i primi architetti che dopo la guerra ritorna a un’architettura legata ai luoghi in cui viene costruita, anche attraverso l’uso di materiali tipici della tradizione locale, come le case di Arenzano con i dettagli in lavagna e le facciate in coccio pesto.
E questa casa a Milano, in via Marchiondi, costruita da Ignazio per la famiglia, quale storia ha?
Dopo la guerra, con Anna Castelli Ferreri, che aveva iniziato a lavorare in studio, decide di cercare un luogo per costruire un edificio che accogliesse i loro appartamenti moderni. Giravano in bicicletta nella Milano bombardata, alla ricerca di questo luogo. Trovarono un'area tra corso di Porta Romana e corso Italia, acquistarono il terreno e costruirono la Casa oggi denominata ai Giardini d’Ercole. Accolsero nel gruppo di progettazione anche l’amico Roberto Menghi.
“È una casa a cui tutti siamo molto affezionati ”
Edoarda De Ponti
Che rapporto hai con questa casa? Cosa la caratterizza?
Non stupisce immediatamente per la sua modernità, come un'architettura di Portaluppi, ad esempio Villa Necchi, o le architetture dei BBPR o Albini. Abitandoci e vivendoci, ti accorgi del disegno dei dettagli, delle proporzioni, della ragione delle scelte dei materiali. Priorità massima nel progetto doveva avere la relazione col giardino, quindi l’affaccio a sud rispetto all’affaccio a nord verso il Duomo, non solo attraverso le vetrate, ma anche attraverso le balconate che corrono lungo la facciata. I serramenti a filo dei soffitti, caratteristica di quasi tutte le sue architetture residenziali, premettevano di ottenere la massima superficie luminosa.
E gli arredi, sono tutti progettati da Ignazio Gardella?
La maggior parte degli oggetti e degli arredi, di fine ‘700, in stile neoclassico, erano tramandati di generazione in generazione ed accostati a mobili disegnati su misura come ad esempio
le librerie o le poltrone rivestite in panno. Teneva pochissimi oggetti e quadri, solo quelli che gli piacevano e che riteneva veramente belli. Per molti anni ha utilizzato i libri della collezione, le prime edizioni del Palladio, per fare da base alla televisione.
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