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Angelo Mangiarotti è architetto, designer, artista. Ha attraversato la seconda metà del secolo ventesimo (nasce nel 1921 a Milano dove si laurea nel 1948) sviluppando intense frequentazioni internazionali, non solo come conferenziere e come docente (insegna negli Stati Uniti, in Svizzera, in Australia e a Venezia, Palermo, Milano) ma anche come progettista tanto da aprire nel 1989 il Mangiarotti & Associates Office con sede a Tokyo.
Appartiene a una generazione di architetti che considerano il progettare un’attività sorretta da un pensiero teorico, ed esprime quindi i presupposti della sua attività nel libro intitolato “In nome dell’architettura”, pubblicato nel 1987: attività che si è espressa a partire dai primi progetti per residenze a Milano, nei suoi edifici industriali, negli edifici per uffici, poi nei lavori per le metropolitane e le stazioni ferroviarie milanesi. Ma di Mangiarotti ha scritto ampiamente e bene François Burkhardt (“Angelo Mangiarotti”, Motta editore, Milano 2010).
Qui può essere interessante verificare alcuni degli assunti, trovare conferme osservando qualcuno dei suoi progetti. Se ne osservino due, che hanno visto Angelo Mangiarotti progettare per il Gruppo Molteni: una serie di mobili del 1964 (ne parla Giuliana Gramigna nel suo “Repertorio 1950-1980”, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1985); e la sede della UniFor, l’azienda che sviluppa e realizza progetti per uffici nata nel 1969, quando Molteni&C. allarga il proprio campo d’interesse dai mobili per la casa agli ambienti di lavoro. Osserviamo il progetto di mobili 4D per Molteni (1964). Presentano una precisa complessità che andrebbe analizzata a fondo.
Prima di tutto sono mobili componibili, affrontano così il tema della flessibilità d’uso per quel nuovo spazioche (all’epoca) modifica la tradizionale casa italiana, il soggiorno (e sono anche su rotelle per facilitarne lo spostamento). Qui viene applicata all’arredo un’idea che Mangiarotti verifica anche nell’architettura, dove spesso opera con elementi prefabbricati. Ma i mobili 4D appartengono anche a quella tradizione del movimento moderno che ha visto da tempo la ricerca sulla possibilità di meccanizzare la produzione dei mobili, organizzandoli come composizione di parti realizzate in serie, a partire da quelli progettati a Francoforte da Franz Schuster nei secondi anni ‘20.
Rispetto a quelli, acquistano eleganza da casa borghese, nobilitati dal legno di noce combinato con piani di marmo (e l’attenzione e il gusto per l’accostamento di materiali è tipico di Mangiarotti). Ma si osservino infine i montanti: sono segnati da plastiche scanalature verticali, certo per facilitarne la presa ma in realtà per caratterizzare con un segno forte l’espressività dell’oggetto. Si osservi poi l’edificio per la Unifor a Turate del 1982. Essenziale nella impostazione strutturale, sviluppa la ricerca di Mangiarotti sui sistemi costruttivi prefabbricati in cemento armato. Il disegno dei componenti è tale da lasciar libera la soffittatura, mentre i montanti della parete vetrata sono realizzati con un particolare estruso d’alluminio.
Ne risulta un edificio in cui la tipologia industriale si evidenzia in modo particolare, ma acquista un’eleganza che deriva tutta dalla chiarezza costruttiva. Si dovrebbero poi osservare gli interni, a partire dalla scala elicoidale che collega l’androne d’ingresso col piano degli uffici.
E davanti, sul prato, è posta una grande scultura in pietra, plasticamente astratta: conclusione di un discorso progettuale che, a partire dalle soluzioni strutturali, proseguendo per l’idea di costruzione per componenti, si ricollega infine alla forza plastica della scultura, in un processo che opera per mettere in relazione architettura, design, arte: quasi a riproporre, nella seconda metà del secolo, quell’idea affermata nel Bauhaus degli anni ‘20: “Arte e tecnica, una nuova unità”
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